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Colecisti: sabbia, fango o calcoli?

I calcoli della colecisti (o litiasi della colecisti) rappresentano una situazione caratterizzata dalla presenza di formazioni dure simili a sassi, di dimensioni variabili da pochi millimetri (sabbia) a qualche centimetro, all’interno della colecisti (o cistifellea).
È una malattia assai frequente, presente nel 10-15% della popolazione adulta con maggiore diffusione nel sesso femminile. Il sovrappeso, il diabete di tipo 2, la stipsi, ma anche il rapido calo ponderale dovuto a diete fortemente ipocaloriche, possono predisporre alla formazione di calcoli.
Molti dei pazienti con litiasi biliare rimangono senza sintomi per molti anni (circa il 50-70%) e possono anche non svilupparne mai alcuno. In altri casi, con una frequenza difficilmente stimabile, i calcoli possono causare sintomi o complicanze anche severe, come la colecistite acuta, l’empiema della colecisti, le angiocoliti o la pancreatite acuta.
Il sintomo più comune riferibile con certezza ai calcoli della colecisti è la colica biliare postprandiale. È necessario che il medico definisca con molta cura i sintomi, prima di ascriverli con sicurezza ai calcoli.
Esistono diversi tipi di calcoli della cistifellea (colecisti); quelli più frequenti in occidente sono costituiti da colesterolo. Una corretta alimentazione può prevenire la formazione di calcoli o, se già presenti e sintomatici, ridurre gli episodi di coliche biliari e, se indicata, migliorare l’efficacia della terapia medica con acidi biliari.

RACCOMANDAZIONI DIETETICHE GENERALI

  • Preferire pasti piccoli e frazionati nel corso della giornata per migliorare la motilità della colecisti e ridurre il rischio di sovrasaturazione in colesterolo della bile.
  • Buona idratazione
  • Prediligere preparazioni semplici come la cottura al vapore, ai ferri, alla griglia, alla piastra, al forno, al cartoccio.
  • Evitare un’alimentazione sbilanciata, troppo ricca di grassi.
  • Consumare cibi che aiutano a normalizzare il transito gastrico e intestinale
  • Seguire le raccomandazioni per una corretta alimentazione nella popolazione generale in merito alla riduzione di grassi soprattutto di origine animale, di bevande ed alimenti ricchi di zuccheri e all’assunzione di adeguate porzioni di frutta e verdura.

ALIMENTI NON CONSENTITI

  • Alcolici e superalcolici
  • Grassi animali: burro, lardo, strutto, panna.
  • Salse con panna, sughi cotti con abbondanti quantità di olio, margarina.
  • Maionese e altre salse elaborate
  • Brodo di carne, estratti per brodo, estratti di carne, minestre già pronte con tali ingredienti.
  • Insaccati: mortadella, salame, salsiccia, pancetta, coppa, ciccioli, cotechino, zampone, ecc..
  • Pesci grassi e frutti di mare.
  • Carni grasse, affumicate, marinate e salate. Selvaggina e frattaglie.
  • Formaggi piccanti e fermentati.
  • Latte intero.
  • Grasso visibile di carni e affettati.
  • Cibi da fast-food ricchi di grassi idrogenati (trans), presenti anche in molti prodotti preparati industrialmente, e piatti già pronti.
  • Dolci quali torte, pasticcini, gelati, budini. In particolar modo quelli farciti con creme.
  • Bevande zuccherate.

ALIMENTI CONSENTITI CON MODERAZIONE

  • Sale. E’ buona regola ridurre quello aggiunto alle pietanze durante e dopo la cottura e limitare il consumo di alimenti che naturalmente ne contengono elevate quantità (alimenti in scatola o salamoia, dadi ed estratti di carne, salse tipo soia).
  • Olii vegetali polinsaturi o monoinsaturi come l’olio extravergine d’oliva, l’olio di riso o gli oli monoseme: soia, girasole, mais, arachidi (per il loro potere calorico controllare il consumo dosandoli con il cucchiaio).
  • Uova.
  • Frutta secca.

ALIMENTI CONSENTITI E CONSIGLIATI

  • Pane, fette biscottate, cereali per la prima colazione, biscotti secchi, pasta, riso, polenta, orzo, farro possibilmente integrali.
  • Frutta matura e verdura di stagione (variando i colori per favorire un idoneo introito di vitamine e sali minerali).
  • Carni sia rosse che bianche, magre e private dal grasso visibile.
  • Affettati, prosciutto crudo, cotto, speck, bresaola, affettato di tacchino/pollo, privati del grasso visibile (1-2 volta a settimana).
  • Pesce, fresco e surgelato.
  • Latte e yogurt parzialmente scremati.
  • Formaggi freschi e stagionati un paio di volte a settimana in sostituzione di un secondo piatto di carne o uova, come 50 grammi di Grana Padano, consigliabile anche come sostituto del sale per insaporire i primi (un cucchiaio 10 grammi). Grana Padano è un concentrato di latte, ma meno grasso del latte intero perché parzialmente decremato durante la lavorazione, il suo consumo incrementa l’apporto proteico ai pasti e favorisce il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di calcio e vitamine come la B12 e la A.
  • Acqua, almeno 1,5 litri al giorno da distribuire durante l’arco della giornata.

CONSIGLI COMPORTAMENTALI

  • In caso di sovrappeso o obesità si raccomanda la riduzione del peso e del “giro vita” ossia la circonferenza addominale, indicatore della quantità di grasso depositata a livello viscerale. Valori di circonferenza vita superiori a 94 cm nell’uomo e ad 80 cm nella donna si associano ad un rischio cardiovascolare “moderato”, valori superiori a 102 cm nell’uomo e ad 88 cm nella donna sono associati ad un “rischio elevato”. Tornare ad un peso normale permette di ridurre il rischio di calcolosi della colecisti, ma anche di ridurre gli altri fattori di rischio cardiovascolare (come ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, insulino-resistenza).
  • Evitare le diete fai da te! Un calo di peso troppo veloce può determinare la comparsa di calcoli biliari e inoltre un regime dietetico troppo ristretto impedisce una buona compliance ed aumenta il rischio di recuperare il peso perso con gli interessi.
  • Rendere lo stile di vita più attivo (abbandona la sedentarietà! Vai al lavoro a piedi, in bicicletta o parcheggia lontano, se puoi evita l’uso dell’ascensore e fai le scale a piedi)
  • Praticare attività fisica almeno tre volte alla settimana. La scelta va sempre effettuata nell’ambito degli sport con caratteristiche aerobiche, moderata intensità e lunga durata, come, ciclismo, ginnastica aerobica, cammino a 4 km ora, nuoto, più efficaci per eliminare il grasso in eccesso e prevenire la colelitiasi
  • Non fumare!

Opuscolo scaricabile Dieta calcoli colicisti

Tanto sono solo erbe!

Qunte volte sentiamo dire «prendo pasticche a base di erbe, tanto non fanno male! Al massimo non funzionano.»

Recentissima la pubblicazione sul British Journal of Clinical Pharmacology, dei dati relativi alle segnalazioni di reazioni avverse correlabili alla assunzione di integratori a base di riso rosso fermentato. Questo prodotto “naturale”, è presente in una quantità innumerevole di integratori di libera vendita, utilizzati per ridurre l’ipercolesterolemia (spesso anche senza controllo medico!), talvolta anche da pazienti intolleranti alle statine, o in associazione ad altri farmaci o erbe, che oltretutto influenzarne il metabolismo stesso.

Ritenuto abitualmente più sicuro proprio perché “naturale”, in realtà questo lavoro -condotto dai colleghi dell’Istituto Superiore di Sanità- passa in rassegna tutte le sospette reazioni avverse segnalate. Abbastanza attese in verità, perché sappiamo bene che il riso rosso fermentato con il fungo Monascus, contiene statine simili o identiche a quelle di sintesi, e quindi con simili potenziali effetti collaterali. Tanto che su 52 soggetti un quarto ha necessitato pure il ricovero in ospedale. E le più importanti reazioni sono registrate sono: dolori muscolari (fino ad un caso di rabdomiolisi vera e propria); aumento del CPK; disturbi gastrointestinali; danni al fegato (fino a casi di epatite); reazioni dermatologiche.

Fondamentale è quindi informare, non solo e non tanto i pazienti, quanto chi consiglia o prescrive questi prodotti, soprattutto a pazienti che già abbiano avuto problemi con le statine. In questi casi infatti occorrono strategie, anche naturali, ben precise, per difenderli dai danni muscolari ed epatici.
Tre le considerazioni a margine di questa rassegna:

a) le 52 segnalazioni ricevute possono sembrare in numero assoluto anche poche, ma c’è da considerare il bassissimo tasso di segnalazione da parte dei sanitari, abitualmente inferiore al 10%;

b) quasi tutti i prodotti segnalati contengono 3 mg di monacolina, mentre oggi la maggior parte dei prodotti sul mercato ne contiene 10 mg, pertanto c’è da aspettarsi una reale presenza di danni ben superiore a quella solo teorizzata;

c) nell’estratto di riso rosso oltre alla monacolina dichiarata vi sono anche altre monacoline, e questo può essere un altro motivo di reazioni avverse anche a bassi dosaggi.

Nell’ articolo sono descritte in modo dettagliato tutte le reazioni e tutti i prodotti che sono stati segnalati.

Link al lavoro per esteso.

Mazzanti G Moro PA, Raschi E, Da Cas R, Menniti-Ippolito F.
Br J Clin Pharmacol. 2017 Jan 17. doi: 10.1111/bcp.13171

Ringrazio il Dott. Firenzuoli e colleghi per i loro costanti e attenti studi in campo fitoterapico e fitovigilanza.

Vaccinazioni internazionali

Per chi avesse intenzione di intraprendere un viaggio all’estero, oltre alle normali precauzioni è fondamentale informarsi per tempo della necessità se eseguire vaccinazioni ed eventuali terapie preventive da fare.

– la febbre gialla: malattia causata da un virus trasmesso attraverso la zanzara, che può avere gravità variabile. I sintomi della febbre gialla sono caratterizzati da forti dolori generalizzati, emorragie e infine insufficienza renale. Le zone endemiche della malattia la cui vaccinazione è obbligatoria, come una vasta zona dell’Africa Centrale dal Senegal all’Angola all’Etiopia e del Sudamerica. Ricordiamo che il certificato internazionale di vaccinazione contro la febbre gialla dura 10 anni.

Colera: malattia batterica acuta dell’intestino molto pericolosa. Si contrae attraverso l’ingestione di alimenti e acqua contaminati. La vaccinazione è importante ma non basta: sono il 30-50% di chi si vaccina può infatti dirsi completamente a riparo dalla malattia, per cui fondamentali resta la massima attenzione alle norme igieniche. Le zone a rischio comprendono buona parte dell’Asia, l’Europa Orientale e l’Africa, fino al Sudamerica.

Febbre tifoide: è prodotta da un batterio – laSalmonella typhi – e provoca febbre, cefalea, malessere generale, bradicardia, disturbi gastrointestinali e macchie diffuse sul corpo. Si trasmette attraverso l’ingestione di acqua o alimenti contaminati. Il vaccino, che si effettua tramite iniezioni intramuscolari oppure per via orale, va fatto una volta con richiami ogni 2-3 anni. Zone a rischio Asia, Africa e Sudamerica.

Malaria: una delle malattie più note e diffuse. Causata da parassiti, si manifesta con febbre acuta e ulteriori segni di diversa gravità a seconda dell’entità della malattia e della zona. Le aree più colpite sono: America del Sud, Africa, Asia e in maniera minore anche gli Stati Uniti. Esiste una profilassi antimalarica importante da effettuale prima della partenza, tramite assunzione di farmaci antimalarici che si differenziano in base alle zone di destinazione.

Per chi viaggia, si raccomandano inoltre i vaccini contro l’Epatite A e l’Antitetanica.

Le vaccinazioni internazionali si possono effettuare a Firenze consultando il sito della Regione .

Interessante approfondire tramite il sito del ministro della salute .

Devo andare all’estero! Cosa metto in valigia?

Breve Vade Mecum per chi si mette in viaggio

Innanzitutto coloro che seguono una terapia medica cronica devono portare un’adeguata scorta di medicinali (ad es. antidiabetici, antipertensivi, antiepilettici, antianginosi, anticoncezionali ecc.) che copra in eccesso il periodo di tempo in cui si troveranno lontani da casa. Infatti, in special modo quando ci si reca all’estero, può essere difficile – se non impossibile – riuscire a reperire il particolare farmaco di cui si necessita. Per precauzione è comunque consigliabile portare insieme ai medicinali abituali anche una prescrizione del medico curante in cui sia annotato, oltre al nome commerciale del medicinale, anche il nome e la quantità di principio attivo contenuto in quel particolare prodotto: in questo modo, in caso di necessità, anche se quel particolare farmaco non è commercializzato nel Paese destinazione del nostro viaggio è almeno possibile ricorrere temporaneamente ad un preparato equivalente.

Quali altri farmaci è consigliabile portare con noi? 
La scelta dei prodotti da “mettere in valigia” dipende dalle caratteristiche del viaggio, dalla destinazione, dalla durata e dal tipo di alloggio. In linea di massima è consigliabile portare in viaggio, oltre ai farmaci abituali, anche alcuni prodotti che teniamo abitualmente nell’armadietto di casa quali:
– un antipiretico (contro la febbre)

-un analgesico (contro il dolore)

– un antidiarroico

– un antibiotico a largo spettro d’azione (es.amoxixillina)

– un antinfiammatorio

– un farmaco contro la chinetosi (mal d’auto, mal di mare, mal d’aria)

– un collirio lenitivo

– un prodotto repellente contro le zanzare ed altri insetti

– una crema antiscottature

– un Kit da pronto soccorso con cerotti, disinfettante, qualche siringa sterile e l’occorrente per una pronta medicazioneun termometro

– una pomata contro ematomi e distorsionise

E se la destinazione è un Paese caldo o con condizioni igienico-sanitarie a rischio?
Prima di affrontare un viaggio che ci conduca in uno di questi Paesi è necessario, con congruo anticipo, informarsi sulla situazione epidemiologica ed ambientale della zona e farsi consigliare dal medico l’eventuale idonea profilassi farmacologica e vaccinale.

Oltre ai farmaci sopra elencati potrebbe rivelarsi utile portare con sé anche:

– sali per la reidratazione

– disinfettanti per l’acqua potabile

– disinfettanti per le vie urinarie

– farmaci antibatterici specifici per l’intestino

– fermenti lattici

oltre naturalmente a qualsiasi altro medicinale il medico ci prescriva (ad es. farmaci antimalarici se la zona è a rischio) .

Importante!
Durante il viaggio è fortemente raccomandabile non mettere i farmaci in valigia ma nel bagaglio a mano perché in questo modo, anche in caso di smarrimento dei bagagli, oltre ad eliminare il rischio di dover eventualmente interrompere una terapia medica cronica si è sicuri di poter disporre in qualsiasi momento, se necessario, della propria “farmacia da viaggio”. Inoltre è importante tenere presente che alcuni farmaci risentono delle alte temperature per cui, in questo caso, ci si deve premunire di appositi contenitori che proteggano questi prodotti da possibili shock termici. È comunque buona norma fare attenzione a conservare sempre nelle confezioni dei farmaci i foglietti con le istruzioni per l’uso per poterli consultare ogniqualvolta se ne presenti la necessità.

I Reni e la loro dieta…facciamo due CALCOLI!

DIETA PER SOGGETTI CON PREDISPOSIZIONE A FORMARE

CALCOLI RENALI

Secondo le ultime stime fornite da una indagine del 2010, condotta dalla Società Italiana di Medicina Generale (S.I.M.G.), circa il 10% degli Italiani ha avuto a che fare nel corso della propria vita con un episodio di calcolosi urinaria (nefrolitiasi) e circa il 6,5% della popolazione, con una prevalenza maschile (6,5% contro 6,1% di donne), con la formazione costante delle ‘pietruzze nei reni’.

La nefrolitiasi è una patologia con un alto indice di ricadute, spiegano gli esperti, che impone a chi ne soffre una particolare attenzione alla dieta. Nel nostro Paese la malattia, infatti, è in crescita a causa di una più elevata assunzione di proteine animali, fra i principali responsabili della formazione dei calcoli.

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO

Per calcolosi renale si intende la presenza di formazioni solide nell’apparato urinario, che si strutturano generalmente in un arco temporale variabile dai 2 ai 5 anni, derivate dalla precipitazione ed aggregazione di sostanze disciolte nelle urine.

I componenti più frequenti che danno luogo ai calcoli delle vie urinarie sono il calcio, l’ossalato, l’acido urico ma può influire nella loro formazione anche la carenza di sostanze quali il citrato e il magnesio urinario.

La conoscenza della composizione del calcolo e di determinati parametri urinari è rilevante per l’impostazione terapeutica, che deve avere come obiettivo la riduzione al minimo della precipitazione dei sali urinari in causa e/o l’aumento delle sostanze che ne prevengono la precipitazione.

LA DIETA

Una alimentazione corretta è la ‘prima cura’ per la prevenzione dei calcoli renali, in quanto la composizione delle urine è direttamente correlata alla dieta.

Essa va studiata e concordata insieme a uno specialista o a un nutrizionista, ma dagli specialisti ecco le prime indicazioni generali.

Nel trattamento di tutti i tipi di calcolosi renale è consigliato un consumo di acqua di 2-3 litri nelle 24 ore.

L’acqua dovrebbe essere distribuita nel corso di tutta la giornata e anche nelle ore notturne, in caso di risveglio. Un maggiore apporto di liquidi è indicato nei periodi estivi e in presenza di attività fisica.

Controllare il peso attraverso la corretta alimentazione e non con diete sbilanciate.

DIETA ‘SU MISURA’

Ogni tipo di calcolo, a seconda della principale componente, ha la sua dieta. Gli esperti consigliano:

1. Per calcoli di OSSALATO DI CALCIO ( calcoli-ossalato-di-calcio ) una dieta normocalorica a

 BASSO CONTENUTO di :

SALE

proteine animali

zuccheri

ma con NORMALE contenuto di calcio e un apporto di liquidi tale da avere un volume urinario di almeno 2 litri nell’arco delle 24 ore.

Limitare o escludere dalla dieta i cibi ricchi di ossalati.

L’ossalato si trova praticamente in tutti gli alimenti ma alcuni ne sono particolarmente ricchi, tra questi: spinaci, rabarbaro, bietola, barbabietole rosse, nocciole, tè, cioccolato, frutti di bosco. Quando assunti, questi alimenti dovrebbero essere introdotti insieme a una fonte di calcio per ridurne l’assorbimento intestinale.

Per ridurre l’apporto di SALE è bene:

  • Ridurne al minimo il consumo nella preparazione e nella cottura dei cibi e di non aggiungerne mai ai piatti una volta in tavola;

  • Evitare i cibi trattati con sale, conservati in scatola, in salamoia, essiccati o affumicati;

  • Preferire il pane toscano senza sale e i formaggi freschi, che sono meno ricchi di sale.

2. Per calcoli da acido uricoacido-urico-calcoli  ) impostare una dieta con un apporto calorico controllato e

una riduzione del quantitativo di purine, contenute soprattutto in prodotti di origine animale.

I cibi che ne contengono in elevate quantità fanno aumentare l’escrezione urinaria di acido urico e tendono a rendere le urine più acide, favorendone la precipitazione.

Occorre limitare anche l’apporto di quota proteica studiando insieme allo specialista una dieta che non superi il quantitativo di 1gr/kg/die.

È bene ricordare che:

Sono da evitare o da ridurre fortemente:

  • i frutti di mare, acciughe, sardine sott’olio, aringa, caviale

  • frattaglie, estratti e brodo di carne, cacciagione, carni rosse

  • dolcificanti e alcolici.

Per rendere le urine meno acide va incoraggiata l’assunzione di frutta e verdura (evitando quella molto zuccherina).

3. Per calcoli di struvite.

La formazione di cristalli di struvite può essere causata da una infezione batterica delle vie urinarie.

La dieta ed il trattamento terapeutico più idoneo dovrà essere studiato insieme al medico.

4. Calcoli di cistina  (calcoli-cistina )

Il primo consiglio è di bere fino a 4 litri di acqua al giorno e di impostare una dieta a basso contenuto di proteine animali (carne, pesce, uova) unita all’assunzione di citrato di potassio per alcalinizzare le urine.

Si valuterà insieme al medico l’eventuale necessità di iniziare una terapia farmacologica.

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi

Il passo più importante fatto dalla Medicina..i VACCINI

Le vaccinazioni ci proteggono da malattie gravi e potenzialmente mortali e costituiscono uno dei più potenti strumenti di prevenzione a disposizione della  sanità pubblica. Grazie alla vaccinazione, il vaiolo è stato eradicato a livello globale nel 1980 e la polio è stata eliminata da varie Regioni del mondo, inclusa la Regione europea nel 2002. Inoltre, le incidenze di altre malattie, come il morbillo, la rosolia, la pertosse, la parotite, la meningite da Haemophilus influenzae (Hib) sono diminuite notevolmente.

Qualche breve nozione sulle vaccinazioni

Nel 1796, il medico inglese Edward Jenner utilizzò con successo il pus di una lesione da vaiolo  bovino (Vaccinia) per immunizzare un bambino di 8 anni contro il vaiolo umano. Data l’origine del composto immunizzante, il virus Vaccinia, Jenner coniò il termine “vaccinazione” per descrivere la nuova procedura. Il principio su cui si basano i vaccini è ancora oggi lo stesso, anche se la tecnica di preparazione si è raffinata. Per approfondire, leggi anche l’articolo pubblicato nel 2005 da Stefan Riedel “Edward Jenner and the history of smallpox and vaccination” (Proc (Bayl Univ Med Cent) 2005 January; 18(1): 21–25).

Cosa contengono e come funzionano i vaccini

L’immunizzazione attiva (o vaccinazione) contro le infezioni si basa sulla somministrazione di una piccolissima quantità di un agente infettivo inattivato (virus o batterio, ucciso o attenuato) o di componenti del microorganismo resi sicuri (come antigeni importanti o sostanze che alcuni microorganismi producono) o di proteine ottenute sinteticamente. In questo modo si evoca una risposta immunologica (immunità umorale e cellulare) simile a quella prodotta dall’infezione naturale senza causare la malattia e le sue complicanze.

Il principio sfruttato dalla vaccinazione è quello della memoria immunologica, cioè la speciale capacità del nostro sistema immunitario di ricordare le sostanze estranee, tra cui i microorganismi di diversa provenienza, che hanno attaccato il nostro organismo e contro le quali vengono prodotti anticorpi specifici. La vaccinazione simula il primo contatto con l’agente infettivo per stimolare il sistema immunitario e aumentare la concentrazione di cellule e anticorpi specifici in modo che se il microorganismo viene effettivamente incontrato può essere neutralizzato.

Con la vaccinazione, in alcuni casi i batteri e i virus sono introdotti nell’organismo già uccisi, quindi non più in grado di causare malattia ma ancora sufficienti a stimolare una risposta immunologica. In altri casi i batteri e i virus sono invece attenuati, ossia non uccisi ma modificati in modo da non essere più attivi. Esempi di vaccini attenuati sono il vaccino Sabin contro la poliomielite e il vaccino contro il morbillo, la parotite e la rosolia (Mpr). In alcuni casi, si utilizzano le sostanze tossiche prodotte dai microorganismi che vengono inattivate prima dell’introduzione nel nostro organismo, come nel caso del vaccino antitetanico e dell’antidifterico. A volte si utilizzano componenti della superficie dei virus o della capsula esterna dei batteri, come nel caso dell’Haemophilus influenzae b. Infine, una serie di vaccini prevede l’utilizzo di proteine sintetiche, ottenute in laboratorio e che simulano componenti dei virus, come è il caso dell’epatite B o della pertosse. Alle componenti batteriche e virali vengono aggiunti, nella composizione dei vaccini, diversi coadiuvanti per favorirne l’efficacia, prevenirne la contaminazione da parte di altri agenti microbici e stimolare le difese immunitarie dell’organismo vaccinato. Per avere maggiori dettagli sulle modalitàdi preparazione dei vaccini visita il sito del Network italiano per le vaccinazioni.

Nella maggior parte dei casi, le vaccinazioni proteggono per tutta la vita per cui non sono previsti richiami oltre al ciclo di base. Alcune vaccinazioni, come quella per il tetano, richiedono l’esecuzione di una o più dosi di richiamo dato che la protezione decade con il tempo. La vaccinazione quindi è il modo più sicuro ed efficace per ottenere la protezione da alcune gravi malattie. In caso di epidemie o dell’insorgenza di casi di malattia nella comunità, i soggetti vaccinati avranno probabilità molto minori o nulle di contrarre l’infezione. Il vantaggio non è solo personale però. Infatti, per le malattie infettive che si trasmettono da persona a persona, se la percentuale di soggetti vaccinati all’interno di una comunità o popolazione è sufficientemente elevata,  la trasmissione dell’agente infettivo nella popolazione è ridotta e anche i soggetti che per particolari condizioni di salute non possono ricevere il vaccino risultano protetti da quella che viene definita una “immunità di gregge”, cioè dalla bassa possibilità di diffusione della malattia, e quindi di contagio. Per alcune malattie, se vengono mantenute coperture sufficientemente elevate nel tempo, questo impedisce al virus di circolare fino alla sua scomparsa permanente. Per le malattie infettive che non si trasmettono da persona a persona, come il tetano, non è valido il concetto dell’immunità di gregge e ogni persona non adeguatamente vaccinata è a rischio di contrarre la malattia.

Obiettivi di una strategia vaccinale

I possibili obiettivi di una strategia vaccinale sono tre: controllo, eliminazione ed eradicazione. Il controllo di una  malattia si riferisce alla riduzione del numero di casi e/o delle sue complicanze, come ad esempio nel caso della vaccinazione antinfluenzale somministrata agli anziani e nei soggetti a maggior rischio. Per eliminazione invece si intende l’interruzione della trasmissione endemica di una malattia in una determinata area geografica, con assenza di casi autoctoni di malattia. Con l’eliminazione di una malattia da una determinata area geografica rimane comunque il rischio di reintroduzione della malattia da altre aree dove questa è ancora presente oppure di contrarre la malattia durante un viaggio all’estero. Per questo, la vaccinazione devo essere continuata. Infine, il traguardo più ambizioso riguarda l’eradicazione di una malattia. Questa si riferisce alla definitiva scomparsa dell’agente causale e della malattia a livello globale. Solo con l’eradicazione non c’è più bisogno di vaccinare visto che non c’è più né la malattia né l’agente patogeno. Questo traguardo è stato finora raggiunto solo per il vaiolo.

I vaccini disponibili

 Esistono malattie per cui la vaccinazione è obbligatoria o raccomandata, altre per le quali si effettua solo in particolari occasioni come i viaggi in Paesi dove la malattia è endemica. In generale le principali malattie prevenibili con la vaccinazione sono: difterite (in Italia, vaccinazione obbligatoria per i nuovi nati), epatite virale B (in Italia, vaccinazione obbligatoria per i nuovi nati), meningite, infezione da papillomavirus umano (Hpv), morbilloparotite,pertossepoliomielite (in Italia, vaccinazione obbligatoria per i nuovi nati), rosoliatetano (in Italia, vaccinazione obbligatoria per i nuovi nati), varicella.

Per maggiori informazioni sulle vaccinazioni e sui vaccini consulta anche il documento “Domande frequenti sulle vaccinazioni e sui vaccini” (pdf 592 kb), predisposto da un gruppo di lavoro istituito presso il ministero della Salute.

Miti da sfatare secondo l’Oms

Mito 1: migliore igiene e sanificazione fanno scomparire le malattie. I vaccini non sono necessari. FALSO
Fatto 1: Le malattie che oggi si possono evitare con la vaccinazione torneranno se fermiamo i programmi di vaccinazione. Mentre una migliore igiene, il lavaggio delle mani e l’aiuto di acqua pulita protegge dalle malattie infettive, molte infezioni possono diffondersi indipendentemente dal livello di ifgiene. Se le persone non sono vaccinate,  malattie che sono diventate non comuni, come la poliomielite e il morbillo, tornerebbero ad esserlo molto velocemente.

Mito 2: I vaccini hanno diversi effetti collaterali dannosi a lungo termine che sono ancora sconosciuti. La vaccinazione può anche essere fatale. FALSO
Fatto 2: I vaccini sono molto sicuri. La maggior parte delle reazioni ai vaccini sono di solito lievi e temporanee, come ad esempio un braccio dolorante o febbre lieve. Eventi sanitari molto gravi sono estremamente rari e sono attentamente monitorati e studiati. C’è molta più probabilità diessere gravemente colpiti da una malattia prevenibile con il vaccino che da un vaccino. Ad esempio, nel caso di poliomielite, la malattia può causare paralisi, il morbillo può causare l’encefalite e la cecità, e alcune malattie prevenibili da vaccino possono anche portare alla morte. Mentre qualsiasi grave lesione o morte causati dai vaccini sono eventi rarissimi, i benefici della vaccinazione superano di gran lunga i rischi, e molti, molti più malati e morti si sarebbero verificato senza vaccini. 

Mito 3: Il vaccino combinato contro difterite, tetano e pertosse (tosse convulsa) e il vaccino contro la poliomielite provocano la sindrome da morte improvvisa del lattante. FALSO
Fatto 3: Non vi è alcun nesso di causalità tra la somministrazione dei vaccini e morte improvvisa del lattante, tuttavia, questi vaccini vengono somministrati in un momento in cui i bambini possono soffrire di sindrome da morte improvvisa del lattante (SIDS). In altre parole, i decessi per SIDS sono co-incidentali alla vaccinazione e l’evento si sarebbe verificato anche in assenza di vaccinazione. E ‘importante ricordare che queste quattro malattie sono pericolose per la vita e i bambini che non sono stati vaccinati sono a grave rischio di morte o di gravi disabilità.
 
Mito 4: Le malattie prevenibili da vaccino sono quasi debellate nel mio paese, quindi non c’è motivo di essere vaccinati. FALSO
Fatto 4: Anche se molte malattie prevenibili da vaccino sono diventati non comuni in molti paesi, gli agenti infettivi che le causano continuano a circolare in alcune parti del mondo. In un mondo altamente interconnesso, questi agenti possono attraversare i confini geografici e infettare chi non è protetto. In Europa occidentale, ad esempio, focolai di morbillo si sono verificati nelle popolazioni non vaccinate in Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Regno Unito dal 2005. Per questo la vaccinazione serve sia per proteggerci che perproteggere coloro che ci circondano. Programmi di vaccinazione di successo dipendono dalla collaborazione di ogni individuo al fine di garantire il bene di tutti. Non dobbiamo fare solo affidamento sugli altri per fermare la diffusione della malattia, anche noi dobbiamo fare quello che possiamo.
 
Mito 5: Le malattie infantili prevenibili con vaccino sono solo un fatto spiacevole della vita. FALSO
Fatto 5: Le malattie prevenibili da vaccino non devono essere ‘fatti della vita “. Malattie come il morbillo, la parotite e la rosolia sono gravi e possono portare a gravi complicazioni in bambini e adulti, compresa la polmonite, l’encefalite, la cecità, la diarrea, le infezioni dell’orecchio, la sindrome da rosolia congenita (se una donna si infetta con la rosolia in gravidanza), e la morte. Tutte queste malattie e la sofferenza da loro derivante  possono essere prevenute con i vaccini. La mancata vaccinazione contro queste malattie lascia i bambini inutilmente vulnerabili.
 
Mito 6: Somministrare a un bambino più di un vaccino alla volta può aumentare il rischio di effetti collaterali dannosi, che possono sovraccaricare il sistema immunitario del bambino. FALSO
Fatto 6: Evidenze scientifiche dimostrano che somministrare più vaccini contemporaneamente non ha effetti negativi sul sistema immunitario di un bambino. I bambini sono esposti a diverse centinaia di sostanze estranee che scatenano una risposta immunitaria ogni giorno. Il semplice atto di mangiare cibo introduce nuovi antigeni nel corpo, e di numerosi batteri vivi in bocca e il naso. Un bambino è esposto a molti più antigeni da un raffreddore o mal di gola comune di quanto non sia dai vaccini. Il principale vantaggio di somministrare diversi vaccini in una volta sta nel minor numero di visite cliniche, che consente di risparmiare tempo e denaro, ed i bambini hanno maggiori probabilità di completare le vaccinazioni raccomandate in programma. Inoltre, quando è possibile avere una vaccinazione combinata, ad esempio per morbillo, parotite e rosolia, ciò significa un minor numero di iniezioni.
 
Mito 7: L’influenza è solo un fastidio, e il vaccino non è molto efficace. FALSO
Fatto 7: L’influenza è molto più di un fastidio. Si tratta di una grave malattia che uccide 300. 000-500. 000 persone in tutto il mondo ogni anno. Le donne in gravidanza, i bambini piccoli, gli anziani con problemi di salute e chiunque con una condizione cronica, come l’asma o malattie cardiache, sono a maggior rischio di infezioni gravi e di morte. Vaccinare le donne in gravidanza ha il vantaggio di proteggere i loro neonati (attualmente non esiste un vaccino per i bambini sotto i sei mesi). La vaccinazione offre immunità ai tre ceppi più diffusi che circolano in ogni stagione. E ‘il modo migliore per ridurre le probabilità di una grave influenza e di diffonderla agli altri. Evitare l’influenza significa evitare costi di cure mediche supplementari e costi sociali legati alla malattia.
 
Mito 8: E ‘meglio essere vaccinati attraverso la malattia che attraverso i vaccini. FALSO
Infatti 8: I vaccini interagiscono con il sistema immunitario per produrre una risposta immunitaria simile a quella prodotta dall’infezione naturale, ma non causano la malattia evitandone i rischi connessi ele complicanze. Al contrario, il prezzo pagato per ottenere l’immunità attraverso l’infezione naturale potrebbe essere il ritardo mentale da Haemophilus influenzae di tipo b (Hib), difetti di nascita da rosolia, il cancro al fegato da virus dell’epatite B, o la morte per morbillo.
 
Mito 9: I vaccini contengono mercurio che è pericoloso. FALSO
Fatto 9: Il Tiomersale, contiene mercurio ed è un composto organico aggiunto ad alcuni vaccini come conservante. E ‘il conservante più utilizzato per i vaccini che sono forniti in fiale multidose. Non ci sono prove che suggeriscono che la quantità di tiomersale usata nei vaccini rappresenti un rischio per la salute.
 
Mito 10: I vaccini causano l’autismo FALSO
Fatto 10: Lo studio del 1998 che ha sollevato preoccupazioni circa un possibile legame tra il morbillo-parotite-rosolia (MMR) e l’autismo è stato risultato essere estremamente carente, e il documento è stato ritirato dalla rivista che lo pubblicò. Purtroppo, la sua pubblicazione ha provocato un panico che ha portato alla caduta dei tassi di immunizzazione, e successive epidemie di queste malattie. Non ci sono prove di un legame tra il vaccino MMR e l’autismo o disturbi autistici
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Intolleraza o allergia alimentare..questo il dilemma!

Le intolleranze alimentari fanno parte di un più vasto gruppo di disturbi definiti come reazioni avverse al cibo: si parla di intolleranza alimentare, piuttosto che di allergia, quando la reazione non è provocata dal sistema immunitario. Le intolleranze sono più comuni delle allergie.

Le prime osservazioni sui disturbi legati all’ingestione di cibo sono molto antiche: già Ippocrate aveva notato gli effetti negativi dovuti all’ingestione di latte di mucca. Tuttavia, le reazioni avverse al cibo costituiscono ancora una delle aree più controverse della medicina: non sono sempre chiari i meccanismi che ne stanno alla base e c’è ancora molta incertezza sulla sintomatologia clinica, sulla diagnosi e sui test che vengono utilizzati per effettuarla. Di conseguenza, ci sono differenze di opinione sulla diffusione di questi disturbi e sul loro impatto sociale.

Le reazioni avverse al cibo: classificazione

Per definire i disturbi legati all’ingestione del cibo sono stati e vengono tuttora usati molti termini. L’American Academy of Allergy Asthma and Immunology ha proposto una classificazione, largamente accettata, che utilizza il termine generico “reazione avversa al cibo”, distinguendo poi tra allergie e intolleranze: le allergie sono mediate da meccanismi immunologici; nelle intolleranze, invece, la reazione non è provocata dal sistema immunitario.
Una classificazione simile, proposta dalla European Academy of Allergology and Clinical Immunology, introduce la distinzione tra reazioni tossiche e non tossiche. Le reazioni tossiche, o da avvelenamento, sono causate dalla presenza di tossine nell’alimento e dipendono esclusivamente dalla quantità di alimento tossico che viene ingerito; un tipico esempio di reazione tossica è l’avvelenamento dovuto all’ingestione di funghi. Le reazioni non tossiche, invece, dipendono dalla suscettibilità dell’individuo e si suddividono in allergie e intolleranze.

Le intolleranze alimentari

Esistono diverse tipologie di intolleranze alimentari. Quelle enzimatiche sono determinate dall’incapacità, per difetti congeniti, di metabolizzare alcune sostanze presenti nell’organismo. L’intolleranza enzimatica più frequente è quella al lattosio, una sostanza contenuta nel latte; la forma più comune di intolleranza al grano è la celiachia; un altro esempio di intolleranza dovuta alla carenza di un enzima è il favismo. Le intolleranze farmacologiche si manifestano in soggetti che hanno una reattività particolare a determinate molecole presenti in alcuni cibi. In alcuni casi, infine, la reazione può essere dovuta ad alcuni additivi aggiunti agli alimenti. Non è ancora chiaro se in questo caso si tratti di intolleranza o di allergia: non ci sono prove che la reazione abbia basi immunologiche, ma le manifestazioni sono così variabili che non si può escludere la possibilità di un’interazione tra meccanismi biochimici e meccanismi mediati immunologicamente.

Sono state individuate le principali sostanze che possono provocare intolleranze farmacologiche (un gruppo di sostanze chiamate amine vasoattive e altre sostanze tra cui la caffeina e l’alcol etilico: vedi tabella 1) e gli additivi che danno più frequentemente reazioni (i cibi in cui sono contenuti e i sintomi che possono provocare: vedi tabella 2).

Sintomi e complicanze

La sintomatologia associata alle intolleranze alimentari è piuttosto variabile: generalmente si riscontrano sintomi prettamente intestinali (dolori addominali, diarrea, vomito, perdita di sangue con le feci), raramente vengono colpiti altri organi. Le allergie, invece, poiché sono scatenate da meccanismi immunologici, possono manifestarsi anche senza sintomi intestinali.

La sintomatologia legata alle intolleranze può in alcuni casi divenire cronica; le allergie possono avere anche complicanze più gravi, fino allo shock anafilattico.

Diagnosi

La diagnosi di intolleranza alimentare è una diagnosi per esclusione: è possibile solo dopo aver indagato ed escluso un’allergia alimentare. L’indagine utilizzata per accertarla consiste nell’individuare l’alimento sospetto, eliminarlo dalla dieta per 2-3 settimane e poi reintrodurlo per altre 2-3 settimane. Se i sintomi scompaiono durante il periodo in cui viene abolito l’alimento e si ripresentano nel momento in cui viene reintrodotto nella dieta si tratta di una reazione avversa al cibo. A questo punto si verifica, attraverso test diagnostici, se è coinvolto il sistema immunitario e se si tratta pertanto di un’allergia; in caso contrario il disturbo è molto probabilmente dovuto a un’intolleranza.

Oggi esistono anche dei “test alternativi” (per esempio il test citotossico) per diagnosticare le intolleranze alimentari, ma sono privi di attendibilità scientifica e non hanno dimostrato efficacia clinica.

Il trattamento per le intolleranze alimentari, come per le allergie, consiste nell’eliminare dalla dieta o consumare in piccole quantità gli alimenti che provocano la reazione.

Intolleranza al lattosio

La più comune intolleranza enzimatica è quella al lattosio, generalmente ereditaria e molto diffusa in Asia e in alcune regioni dell’America. In Europa, è più frequente nelle aree mediterranee, tra cui l’Italia e meno nel Nord.

Il lattosio è lo zucchero contenuto nel latte. Prima di essere assorbito e utilizzato dall’organismo il lattosio deve essere scomposto nelle sue componenti, il glucosio e il galattosio. Per effettuare questa operazione è necessario un enzima chiamato lattasi. Se non vengono prodotte sufficienti quantità di lattasi una parte del lattosio può non essere digerito.

Una scarsa produzione di lattasi non implica necessariamente l’intolleranza al lattosio. Pertanto, questa intolleranza può essere ridotta attraverso la graduale reintroduzione nella dieta dei cibi contenti lattosio.

La sintomatologia è dose-dipendente: maggiore è la quantità di lattosio ingerita, più evidenti sono i sintomi, che possono includere flatulenza, diarrea, gonfiore e dolori addominali.
In caso di diagnosi di intolleranza al lattosio non è sempre necessario eliminare i prodotti che lo contengono, a volte è possibile individuare la quantità di lattosio che può essere tollerata senza scatenare sintomi. Se l’intolleranza è lieve possibile controllare i sintomi bevendo il latte durante i pasti, sostituendo i prodotti freschi con quelli fermentati, bevendo latte povero di lattosio. Alcuni formaggi (parmigiano, emmental, cheddar, edam) contengono pochissimo lattosio. Se l’intolleranza è grave è importante fare attenzione e leggere accuratamente le etichette degli alimenti: il lattosio, infatti, è utilizzato in molti cibi pronti. Il test specifico è il Breath test al lattosio.

Aspetti epidemiologici

Esistono molte incertezze riguardo l’esatta prevalenza delle intolleranze e delle allergie alimentari. Le cause di questo sono numerose: confusione nella terminologia, differenze nei criteri diagnostici e mancanza di procedure diagnostiche idonee, disuguaglianze nelle valutazioni da parte dei genitori nel caso di bambini.

Sicuramente sono in aumento le allergie di tipo respiratorio, ma non è chiaro quale sia il trend di quelle alimentari. La prevalenza di questo tipo di allergie, infatti, potrebbe essere sovrastimata a causa dell’utilizzo di test diagnostici alternativi o che non hanno un valore scientifico.

A livello nazionale i dati sulla prevalenza delle reazioni avverse al cibo sono piuttosto scarsi. Lo studio ICONA2003 sulla copertura vaccinale, condotto dall’Istituto superiore di sanità, ha raccolto anche il dato sulle allergie alimentari: l’8% delle madri ha riferito che il proprio bambino ha sofferto o soffre di intolleranze, ma su questo dato ci sono forti differenze regionali. Studi europei stimano una percentuale di reazioni avverse al cibo intorno al 7,5% nei bambini e al 2% negli adulti.

L’American Academy of Allergy Asthma and Immunology riporta i dati relativi agli Stati Uniti: l’8% dei bambini di età inferiore a sei anni ha reazioni avverse al cibo; di questi, dal 2 al 4% hanno reazioni allergiche. Tra gli adulti la prevalenza di reazioni avverse al cibo è stimata intorno all’1-2%.

La diffusione delle diverse intolleranze alimentari è legata in gran parte alle abitudini di vita: in Italia le intolleranze più comuni sono quelle al latte, al grano, all’uovo e alla soia (quest’ultima è diffusa soprattutto tra i bambini, la cui alimentazione è particolarmente ricca di questa sostanza). Negli Stati uniti l’intolleranza più diffusa è quella alle arachidi, nei paesi scandinavi quella al pesce.

Procedure diagnostiche

La diagnosi di allergia alimentare si basa sull’utilizzo di procedure standardizzate e condivise dalla comunità scientifica, che derivano dalle conoscenze sui meccanismi immunologici e fisiopatologici e non si trovano in farmacia.

Anamnesi. È il primo passo: attraverso un approfondito colloquio col paziente, il medico riesce a ottenere preziosissimi indirizzi diagnostici che dovrà poi confermare attraverso i test cutanei.
Test Cutanei: Le prove allergologiche cutanee con estratti di allergeni alimentari vengono eseguite attraverso un esame che prende nome di skin prick test e consiste nell’applicare una goccia di estratto contenente l’allergene sulla pelle leggermente graffiata dell’avambraccio del paziente. I problemi collegati a questo test, molto semplice da eseguire, sono sostanzialmente dovuti alla grande variabilità di reazioni, che alcune volte possono portare a falsi positivi o falsi negativi. Esiste successivamente un test, di pertinenza specialistica, che prevede l’applicazione “a fresco” dei presunti allergeni, il Prick To Prick.
Dosaggio delle IgE specifiche per allergeni alimentari: Quando i test cutanei non sono in grado di dare indicazioni precise o quando non sia possibile eseguirli si può ricorrere al dosaggio delle immunoglobuline di tipo E specifiche per gli allergeni alimentari.
La ricerca delle IgE specifiche (RAST) deve essere mirata verso quegli allergeni che, in base ai
risultati dei test cutanei e dei dati anamnestici, hanno maggiori probabilità di avere un coinvolgimento nella sintomatologia del paziente.
Diete di eliminazione: Si deve sempre ricorrere alle diete di eliminazione in tutti i risultati dubbi e per avere la certezza dell’individuazione dell’allergene.
Se l’eliminazione dalla dieta di un alimento sospetto determina la risoluzione dei sintomi, quell’alimento è l’indiziato principale; se tuttavia le manifestazioni cliniche continuano, deve essere presa in considerazione, prima di scagionare definitivamente il sospettato, la possibilità di allergie crociate con altri alimenti simili, come riportato poche righe più sopra.
La certezza verrà data a questo punto dalla ricomparsa della sintomatologia in seguito a reintroduzione dell’alimento
Test di provocazione orale: Rappresenta ad oggi la “prova del nove” per la diagnosi di allergie alimentari, anche se è un esame da effettuare in particolari strutture, seguiti da personale esperto sono poiché non è esente da rischi per il paziente. Per questo motivo viene usato piuttosto raramente.

Test per le intolleranze alimentari: tutta una farsa?

Stanno sempre più dilagando test approssimativi, fantasiosi, magici e di moda che non hanno alcun fondamento scientifico e che pertanto, pur essendo molto diffusi, non sono approvati dalle Società di Allergologia, o dalla Federazione degli Ordini dei Medici, e mietono sempre maggior numero di incaute vittime. Queste metodologie sono sempre inefficaci, ma in alcuni casi possono anche essere non sufficientemente sicure e persino dannose, in quanto possono ritardare una diagnosi corretta e quindi l’applicazione dei provvedimenti terapeutici più idonei. Con questi test spesso si evidenziano delle presunte allergie o intolleranze a molteplici alimenti e sulla base dei risultati vengono prescritte diete approssimative, talora prive del necessario apporto calorico e/o vitaminico. Per la loro scarsa affidabilità non hanno infatti superato i controlli a cui sono stati sottoposti.
Rientrano in queste metodiche il test leucocitotossico, i test di provocazione/neutralizzazione, il test DRIA, i test di elettroagopuntura (VEGA, SARM, ecc), la kinesiologia applicata, la biorisonanza.Aut. SIAE n. 1647/I/ 1697

Link e studi per approfondire

Ministero della Salute: intolleranze e allergie alimentari

Pagina del sito del ministero della Salute dedicata a intolleranze e allergie alimentari.

Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione

Pagina del sito dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) dedicata ad allergie e intolleranze alimentari.

American Academy of Allergy Asthma and Immunology

Pagina del sito dell’Accadema americana di allergologia e immunologia dedicata alle allergie alimentari.

European Academy of Allergology and Clinical Immunology

Sito dell’Accademia europea di allergologie e immunologia clinica.

Food allergy: an overview

Pubblicazioni dello statunitense National Institute of Allergy and Infectious Diseases sulle allergie alimentari.

British Nutrition Foundation

Pagine del sito della British Nutrition Foundation dedicate alle reazioni avverse al cibo, con informazioni sulle allergie e intolleranze alimentari, sull’intolleranza al lattosio, sull’allergia alle arachidi, sull’itolleranza al grano e sulla celiachia

Recente articolo su Repubblica

http://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2016/11/14/news/alimentazione_sempre_piu_italiani_si_credono_allergici_ma_non_e_sempre_cosi_-151973350/

Pompelmo

Non tutti sanno che..

il succo e la polpa di POMPELMO possono interferire con alcuni farmaci inficiando in maniera significativa la loro attività biologica attraverso interazioni metaboliche.

Il pompelmo è in grado di aumentare in maniera significativa la biodisponibilità di diversi medicinali, attraverso un meccanismo di inibizione dell’attività di alcuni enzimi che a livello epatico sono responsabili della trasformazione dei farmaci.

Tra le classi di farmaci di cui si sono valutate reazioni avverse che possono essere provocate dall’interazione tra farmaci stessi e succo di pompelmo sono:

  • antiaritimici come amiodarone, propafenone, carvedilolo, chinidina
  • antibiotici come la claritromicina
  • antistaminici come la terfenadina
  • ansiolitici come diazepam, midazolam, triazolam e buspirenone
  • calcioantagonisti come amlodipina, felodipina, nifedipina, nimodipina, diltiazem, verapamil
  • corticosteroidi come il prednisone
  • ormoni come etinilestradiolo progesterone
  • statine come atorvastatina, lovastatina, simvastatina
  • antivirali anti-HIV come il saquinavir
  • immunosoppressori come la ciclosporina e il tacrolimus
  • neurologici come carbamazepina, fenitoina e clomipramina
  • chemioterapici come la vinblastina
  • anticoagulanti
  • anti-impotenza

La lista è parziale dato che il pompelmo interagisce con enzimi responsabili della metabolizzazione di circa il 60% dei farmaci.

Per questo è importante per coloro che assumono farmaci fare attenzione a bere succo di pompelmo o a mangiarne il  frutto durante la terapia.

Bibliografia

  • Maskalyk J. Grapefruit juice: potential drug interactions. CMAJ 2002; 167: 279-80.
  • Drug interactions with grapefruit juice. WHO Drug Information 1997; 11: 70-1.
  • McNeece J. Grapefruit juice interactions. Aust Prescr 2002; 25: 37.
  • Bailey DG. Farmaci e cibo. Focus 2001; 26.